lunedì 25 gennaio 2010

(10) 6a Lezione: Darwin Aveva Ragione

Sono ossessivo compulsivo. Diffido dei supermercati, dei centri commerciali, delle grandi rivendite. Vado dal lattaio, dal panettiere, nei negozietti purché non superino i 40 metri quadri.

Motivo per cui non amo entrare in un sacco di posti, e tra essi le grandi librerie (cioé i mercati generali della carta), tra cui le onnipresenti Feltrinelli megashop multitasking book cd dvd tastiere chitarre calendari assorbenti mutande cazzo voglio solo comprare un libro.

Di solito comunico un titolo al mio libraio e lui me lo procura, addirittura con il 10 per cento di sconto. Ma stavolta non ce l'ha fatta. Sarà l'età, una distrazione, o il fatto che i due titoli che cercavo sono fuori catalogo: forse perché non ripubblicati, più probabilmente perché le copie restanti le ha comprate tutte Feltrinelli e le vende online.

E infatti li trovo online. Addirittura con pagamento contrassegno (col cazzo che vengo a darvi il numero della mia Visa, siete italiani, non mi fido!). Cedo e li ordino, nonostante Mario mi avesse avvisato, e vista la sua natura ultraterrena avrei dovuto dargli ascolto.

Entrare nel sito di Feltrinelli, innanzitutto, è una esperienza scivolosa. Ci hanno attaccato l'articolo, laFeltrinelli.it, come fosse un'amica, la Giovanna, come se si cucisse la cravatta alla camicia solo perché di solito vanno insieme. Scivoli su quell'articolo così determinativo che ti fa sentire un consumatore abituale.

Guardare il sito è come prendere un divano in un occhio, forme tonde e rosso tra il Ferrari e il porpora (e d'altronde, laFeltrinelli non poteva scegliere altro che ilRosso, e chi l'ha capita sa). Compili il solito modulo in cui ti chiedono nome, cognome, albero genealogico, riferimenti telefonici fax email pager blackberry e tuanonna, giùgiù fino al tremendo modulo di accettazione:

«Ai sensi di questaequella legge autorizzo laFeltrinelli a trattare imieiDati come cazzo gli pare a loro, per mandarmi i libri e anche la pubblicità e tuttecose, e se non accetto non solo non ricevo i libri, ma probabilmente vengo anche cancellato dall'anagrafe, mi annullano il passaporto, se sto male non viene l'ambulanza, e mi toccheranno sette anni di sfiga (tre con la condizionale)».

Accetto (che devo fare?).

Finisco l'ordine e stampo tutto (una volta si facevano le cose su carta, carta canta diceva mia nonna che infatti amava Di Stefano e diffidava di Pavarotti; oggi si fa tutto in via telematica e poi si stampa "così ne ho una copia". E' l'evoluzione tecnologica: è talmente veloce, ma talmente veloce, che si raggiunge da sola e riesce a sbattere la faccia sul suo stesso culo). E mi accorgo che ho commesso un errore nel digitare il numero civico di casa mia.

Dramma. Come ho fatto? Mi si sono intrecciati i diti alla Fantozzi? E che ne so? Mai sbagliato un numero di telefono? (Sì lo so, intendo una volta, quando ancora si digitavano e non si usavano esclusivamente le rubriche, chi ha più di 30 anni sa di cosa sto parlando). Panico. Mario mi affonda gli artigli nella spalla. Poi vedo il mitico linkino: "Profilo utente". Clicco, apro, correggo. Ah. Sto meglio. Tutto a posto.

Macché. L'inesorabile ingranaggio dell'imbecillità automatizzata ormai si è messo in moto, è come una valanga, è la Wermacht della vendita online. Due giorni dopo mi arriva la mail che mi avvisa che il pacco è partito, contrassegno per 23,28 euro. All'indirizzo errato. E a che serve allora modificare il profilo? A che serve il profilo stesso? E la mia identità sul divano rosso-CheGuevara de laFeltrinelli? Oddio, non ho più la mia identità, sono un tizio che non conosco che abita da un'altra parte...

Pazienza. Il pacco è partito, risulta "in transito" con il corriere SDA. Lo stato del pacco ha un che di latineggiante, "in transitum", anzi di metafisico. E' il pacco di Shroedinger, che non è vivo né morto, è in transito, quindi è vivo e morto allo stesso tempo (finché non lo apri e controlli il gatto, e qui ci arriva solo chi ha studiato fisica, cioé praticamente nessuno dalla mia generazione, compresa, in poi).

Non mi arrendo. Mi sono evoluto. Sono un homo sapiens sapiens. Lo sapevate che abbiamo due sapiens? Anche voi, non solo io. Siamo due volte sapiens. Digito, ergo sum. Cerco il numero verde di SDA, che è scritto in verde ma costa 14 centesimi al minuto senza scatto alla risposta (e perché è verde? Sarà catalitico). Chiamo. Ascolto l'infame disco che mi spiega che con i miei dati personali ci fanno i cazzi loro e che per questo devo digitare uno, per quello due, e via così fino a numeri di tre cifre. L'assistenza clienti non è prevista, il menù che ci assomiglia di più mi fa sapere di essere automatizzato. Ma io sono sapiens sapiens, e so sconfiggere le macchine: il segreto per combattere i menù a scelta è dare risposte a cazzo, purché quella seguente sia incongruente con quella che precede, alla fine il disco non sa più che pesci prendere e ti scarica a un operatore (non uno a caso, uno, proprio lui, l'unico). Arrivarci è la scoperta di El Dorado, solo chi ha un piccolo Vin Diesel dentro ci riesce.

Spiego alla signorina che il mio pacco è in uno stato quantistico di transienza e che intendo correggere il numero civico, così lo consegnano a me e non a nessun altro, mi pare logico (visto che ancora devono portarmelo) far sapere loro dove mi trovo. Presumo sia una sapiens sapiens anche lei, quindi dovremmo essere sullo stesso piano evolutivo. Mi risponde che non è possibile.

Momento di silenzio. Dissolvenza. Non è possibile. Ormai il treno è partito, va verso il burrone ma non si può avvisare il macchinista che è meglio frenare, non è possibile. Così, come se fosse sensato. Inizio a pensare che la tizia sia solo sapiens, una volta. Le dico, non hai capito un cazzo, ma te lo rispiego come se tu fossi uno scimpanzé. Stavolta capisce. E mi dice che, se il corriere non mi trova, non mi devo preoccupare, lascia un biglietto. Le chiedo a chi lo lascia, se arriva all'indirizzo di un altro. Mi dice, sulla buca o sul citofono. Le chiedo, sul citofono di chi visto che non c'è il mio nome. Lei grippa, raschia la frizione cambiando marcia al cervello (presumo stia cercando di inserire la ridotta, come gli autocarri Om di una volta), mi dice, «Le passo l'assistenza». Cioè il limbo delle musichette da ascensore, nella fattispecie una orripilante strimpellata al pianoforte proiettata a un volume che mi sfonda la scatola cranica. Nessuno risponde per vari minuti, poi cade la linea.

Ma io sono sapiens sapiens. Non mollo. Idiota laFeltrinelli, idiota laSignorina di SDA, c'è ancora la speranza che il corriere, individuo forse abbruttito dall'attività di manovalanza e di certo non uno scienziato nucleare, ma probabilmente abbastanza smaliziato da saper evitare una fatica inutile, sia almeno sapiens una volta. Nonostante la neve e i due gradi sottozero, passeggio fino al numero civico errato che ho indicato (mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!) e appiccico con otto strati di nastro adesivo un cartello formato A3, cioé 42 centimetri per 29 virgola sette, con la scritta in alto "Per il corriere SDA" stampata in arial black a corpo 42. Il cartello, visibile anche dal satellite come appare evidente, indica che non abito al 37 ma al 33, e che c'è stato un deplorevole errore. La differenza, in termini topografici, è di duecento metri, risalendo come salmoni la stessa strada. Non sapendo quando il corriere passa, non posso andare a stazionare sotto casa di un altro per un paio di giorni sotto la neve e sotto lo zero Celsius; quindi, onde evitare allo scimpacorriere di tornare una seconda volta nelle brughiere dove abito, suggerisco cortesemente ed educatamente (e con un altro paio di -mente) che si trasli di metri duecento in direzione grossomodo ovest, risalendo la stessa carreggiata, fin dove troverà il nome che cerca su un citofono, il mio. Penso che sia sufficiente, per qualsiasi tipo di sapiens, e anche per la maggior parte dei primati con pollice opponibile.

Errore. Al pomeriggio vado a controllare e trovo il mio cartello esattamente dov'era, e un avviso del corriere incollato al muro accanto all'ingresso di questa abitazione non mia. E' passato alla tal ora, non c'era nessuno (ma davvero? E dove? A casa di chi hai suonato, o beatissimo imbecille, o cavaliere jedi delle teste di cazzo?). Chiamare il numero verde catalitico per concordare la seconda consegna.

Ovviamente riprovo a chiamare, codificando correttamente con il tasto 3 la mia richiesta di parlare a una forma di vita evoluta riguardo al mio pacco transiente. Pianoforte, anzi forteforte, da spaccare le orecchie per 14 minuti. Nessuno. Specifico, da buon italiano lamentoso, che se io al lavoro non rispondo al telefono, me lo tirano in faccia. E se smetto di lavorare mezz'ora prima dell'orario, il capo del personale viene personalmente a spaccarmi i denti a calci con le Clark nuove effetto camoscio nero comprate a Edimburgo.

Il ciclo vitale della cazzata giunge a compimento quando, esausto e sfiduciato, dopocena scarico la posta e trovo una email della mia amica laFeltrinelli che mi dice, il corriere ci fa sapere che non è riuscito a consegnarti il pacco, telefona al numero catalitico per concordare la seconda consegna, e mi ricorda che l'indirizzo di consegna è il seguente: quello errato. Sono sapiens sapiens e trovo idiota che esista una procedura che normalmente, se per qualche motivo durante una normale consegna non mi trovano a casa mia, poi con una email mi ricordano il mio indirizzo. Perché, potrei averlo dimenticato? Torno dal lavoro, parcheggio in una via a cazzo, scassino un portone ed entro a casa di un altro, mi infilo le sue pantofole e mi prendo una birra dal suo frigo, con lui seduto sul divano (rosso porpora stile laFeltrinelli) che mi guarda strabuzzando le cornee?

Nell'attuale intervallo T di tempo, lo stato quantistico del mio pacco non si è ancora risolto, permane il dualismo libro-particella. Shroedinger for President. L'assistenza SDA si chiama "assistenza" probabilmente perché mentre i telefoni suonano, l'operatore sta assistendo a una partita in tv. Il sitodivano de laFeltrinelli è governato da una demenza artificiale che mi fa compilare un profilo che non usa e poi mi ricorda che abito a casa di un altro. Ionesco sarebbe felice, Kafka no (ma solo perchè era un depresso cronico, in fondo in fondo piacerebbe pure a lui).

La Sesta Lezione del manuale, caro amico che hai letto fin qui, probabilmente divertendoti alle mie spalle e ridacchiando mentre un rivolo di bava ti scende verso la fossetta del mento, è questa:

(a) Gesù ti ama. Tutti gli altri ti ritengono un coglione.

(b) E' vero però il contrario: ti ritengono tale perché la maggioranza di loro è più cogliona di te.

E' un dato di fatto dimostrato che i coglioni ci stanno un passo avanti. Per quanto ci industriamo a prevenirli, ci fottono sempre in modi che non avremmo creduto possibili, perché ragioniamo secondo L-O-G-I-C-A. La nostra razionalità ci seppellirà tutti, compresi Shroedinger e il suo gatto. I coglioni ci sono superiori, perchè non indugiano con frivolezze inutili come il buon senso, la precisione, la puntualità, la completezza: fanno le cose alla cazzo, senza secondi pensieri e senza voltarsi indietro, e mentre noi ci giravoltiamo su noi stessi cercando la circolarità perfetta del nostro stesso ombelico, loro vanno avanti, ci staccano di un paio di incollature, e sono già a fare danni più in là, dove nessun homo sapiens sapiens è mai giunto prima, e quando ci giungerà se la prenderà immancabilmente in quel posto, perché prima di lui c'è già passato un coglione.

Ne è passato uno in ogni luogo, reale o figurato, in cui possiamo pensare di trovarci; qualsiasi cosa pensiamo di fare, uno di loro l'ha già fatta alla cazzo senza possibilità di rimedio.

Darwin aveva ragione: sopravvive il più adatto, e il più adatto è quello che se ne sbatte beatamente degli altri e del senso delle cose, e tira dritto per la sua strada. I coglioni sono una forma di vita superiore. Sono il prossimo passo evolutivo, il domani che è già qui oggi. Ci sopravviveranno perché se ne fottono, anzi manco se ne accorgono. Per loro la via più breve tra il punto A e il punto B è il gomitolo, mentre noi ci ammazziamo di linee rette.

Sono ovunque, intorno a te, amico lettore, ma soprattutto dietro di te. Attento alle spalle.

mercoledì 30 dicembre 2009

(9) 5a Lezione: Statisticamente Stupido

Il valore del denaro è una percezione. Vedete qualcosa che vi piace e lo comprate, spesso giudicando il prezzo conveniente anche se non avete fatto raffronti.

Esempio. Attraversate la città per comprare un oggetto che costa 30 euro. Il commesso vi dice che se tornate domani ne costerà 15. Voi tornate. Poi attraversate di nuovo la città per comprare un computer che costa mille euro. Il negoziante vi dice che se tornate domani ne costerà solo 985. Lo prendete subito. Eppure sono sempre 15 euro risparmiati.

E allora andiamo avanti così, facciamoci del male:


Scommettiamo 100 euro a testa o croce. Esitate? Perché no, in fondo rischiate di perdere solo 100 euro!
Probabilità: 1 su due (1/2)

Andiamo al casinò. Siete disposti a mettere 100 euro al volo su un singolo numero, adesso, senza pensarci due volte?
Probabilità: 1 su trentatrè (1/33)

Vi ricordate il vecchio Totocalcio? Quello con le 13 partite di qualche anno fa. Qualcuno ci ragionava sopra, qualcuno metteva i segni a caso, 3 segni per 13 risultati. Avete mai fato una giocata da 100 euro? Più o meno corrispondevano a 5 doppie e una tripla, cioé una schedina con 96 possibili combinazioni.
Probabilità: 96 su quasi un milione e seicentomila (1/16.607)

Il prossimo astronauta italiano che andrà sullo shuttle ha intenzione di lanciare un sassolino sull'Italia dall'orbita. Scommettereste 100 euro che il sassolino cadrà entro un chilometro quadrato da casa vostra?
Probabilità: 1 su circa trecentomila (1/301.338)

Comprereste un biglietto della lotteria, uno solo, per 100 euro?
Probabilità: circa una su 18 milioni e mezzo (1/18.536.180 tagliandi venduti nel 2008)

Andiamo di nuovo al casinò. Punto 20 euro sul 17, nero, dispari. Cinque volte di fila (totale, se perdo, 100 euro). Io però voglio vincere tutte e cinque le volte! Mi prestate i 100 euro?
Probabilità: 1 su quasi 40 milioni (1/39.135.393)

In Italia ci sono circa 1,3 cellulari per ogni abitante (dati Eurostat, 2008). Compongo un numero a caso, tra quelli esistenti: scommettiamo 100 euro che riesco a chiamare proprio voi.
Probabilità: 1 su circa 78 milioni (1/78.000.000)

Scrivo a caso la targa di un auto, considerando tutte quelle circolanti al mondo. Anzi, ne scrivo due. Scommettete 100 euro che, tra il primo e il secondo tentativo, azzecco la targa della vostra?
Probabilità: 2 su circa 900 milioni (1/450.000.000)

Grande lotteria europea: viene estratto un nome tra tutti gli abitanti. Mettete 100 euro su di me? Quando vengo estratto ve li rendo.
Probabilità: 1 su quasi 500 milioni (1/495.000.000)

Okay, ho capito, non vi piace rischiare, neanche quando avete buone probabilità (come nel lancio della moneta), tanto meno quanto le probabilità son ridicole. Nessun problema, 100 euro sono 100 euro. Per cui, andiamo al bar che vi offro un caffé. Già che ci siamo, vi direi di prendere una schedina del del Superenalotto, una di quelle piccole, da 2 euro. In un anno, con 3 estrazioni alla settimana, alla fine sono circa 300 euro per azzeccare un sei... però voi non siete gente cui piace rischiare, lasciamo perdere. O no?
Probabilità: 1 su oltre seicento milioni (1/622.614.630, senza considerare il numero jolly)


Una volta chi vendeva false speranze era un truffatore, ora è una società privata (privatizzata), e lo Stato che da una parte fa campagne di utilità sociale per "giocare responsabilmente" dall'altra ci guadagna una consistente fetta su un gioco che prevede una dozzina di estrazioni al giorno (Win4Life). E poiché non capite i numeri, comprate quella falsa speranza tre volte a settimana. Anche con una schedina di 1 euro, sono comunque più di 150 euro all'anno. La maggior parte di voi ne spende di più. E se il montepremi sale, aumentano le scommesse, come se un montepremi più alto significasse più probabilità di vincere.

Cazzate.

Lezione numero cinque del Manuale: ogni tanto fa bene mettere le cose nella giusta prospettiva, e sentirsi stupidi. Adesso prendete i 100 euro e portate in pizzeria i vostri quattro amici più cari. Sono soldi spesi bene, anzi spesi meglio.

lunedì 14 dicembre 2009

(8) 4a Lezione: Il Senso di Mario per gli Idioti

(Note: this Lesson cannot be translated in English. It has too much to do with myself, my hometown, and the dumbest of all things, local soccer. It evolves, fundamentally, around the concept that soccer is the most stupid thing mankind invented, and such is the individual that lives for it. So, either you are evolved and do not care about soccer, therefore you can be spared to read, or you are a soccer fan, therefore you are too dumb to understand it.)

"A vent'anni è tutto ancora intero
A vent'anni è tutto chi lo sa
A vent'anni si è stupidi davvero
Quante balle si ha in testa a quell'età"
(Francesco Guccini, "Eskimo")


Un branco di coglioni in uno stadio qualsiasiCon l'avvicinarsi dello show natalizio, a tutti tocca in sorte l'indecoroso compito di andare in cerca dei Regali Obbligatori. E' il compeanno di Dio, in fondo; peccato che i regali non tocchino mai al festeggiato, in questo caso, ma è un altro discorso. Di fatto, questa odiosa sorte rituale è toccata anche a me.

Pochi giorni fa mi trovavo in una cattedrale (cioé in uno dei soliti moderni centri commerciali dove trovi tutto e non ti serve niente), con Mario che sibilava sulla mia spalla per essere stato costretto a venire con me. Armato di una sufficiente dose di pazienza, entro in uno degli enormi negozi che affliggono questi luoghi, quando mi passa davanti una faccia nota.

Ora, Mario avrà molti difetti, e non sarebbe quel che è se non fosse così, ma ha un innato istinto nel riconoscere un imbecille in avvicinamento. E' come un radar. Quando l'ho sentito irrigidirsi, soffiare e gonfiarsi come un gatto alla vista di un bagnetto di acqua salata, avrei dovuto adeguarmi e girare sui tacchi, puntando deciso l'uscita e chiuderla lì. Ma il tempo passa, e poiché i miei neuroni ormai da tempo hanno preso a suicidarsi in massa come i lemming, non ho più la prontezza e i tempi di reazione di un paio di decenni fa. Peggio per me.

Per cui incrocio lo sguardo del tizio, lo squadro, lui non mi riconosce (e anche questo, a posteriori, era un segno che avrebbe dovuto suggerirmi di lasciar perdere, ma io sono così, schiavo di quel molle lato umano portato all'incontinenza sociale, cioé non so resistere, giuro sto cercando di smettere, maledico le nonnette e insulto le suore, ma non sono ancora uscito definitivamente dal tunnel). Fisso il tizio. «Tu sei Andrea (Pinco), io sono Andrea (Pallino)!», gli dico senza trattenermi. Ahimé, ci riconosciamo.

Trattasi di un compagno di liceo, quindi parliamo grossomodo di vent'anni fa. Mai più visto. Me lo ricordo al liceo, sul campetto di cemento, che sapeva certamente menar palla come pochi, con l'occhio azzurro e il ricciolo biondo ribelle che facevano impazzire le compagne di classe. Forse da qualche parte negli anni siamo anche stati compagni di banco. Comunque si andava d'accordo, si giocava a calcio insieme, e ci si sfotteva bonariamente per spirito di tribù in base alle diverse simpatie calcistiche (perché al di sotto dei 18 anni è lecito praticarlo, guardarlo e parlarne, ed è perfino consentito dividersi nei due rami sub-evolutivi, pro-Toro e pro-Juve, che poi raggiunta l'età della ragione deviano verso l'essere umano propriamente detto oppure si inclinano inesorabilmente verso il ramo secco dell'homo tifosus).

Mi ricordo anche, in quel balenante momento in cui ci riconosciamo, che lui era uno sfegatato del Toro, ma lì per lì non gliene faccio una colpa: eravamo giovani e innocenti. Certo, essere fanatici di calcio è di per sé una colpa grave, e peraltro essere del Toro costituisce un'ulteriore aggravante - non lo dico per simpatia/antipatia personale, ma in base a una accurata statistica redatta da me medesimo dal giornalaio, al bar e in vari contesti casuali nei quali questa sottocategoria accorpa e mette in mostra quanto di peggio l'evoluzione dell'uomo ha prodotto; prendere il caffé accanto a tre tifosi del Toro che blaterano al lunedì mattina fa lo stesso effetto che farebbe bere una tazza d'acqua stagnante stando seduto in mezzo alle fogne di Calcutta. Sono fastidiosi come mosconi. Almeno quelli della Juve di solito stanno zitti e non mi ammorbano con i loro astuti pareri da allenatori della domenica del cazzo.

Ma a tutto questo non dò peso. Sono passati vent'anni. Siamo cresciuti. Ci siamo sposati. Abbiamo figli. Abbiamo, o dovremmo almeno avere, scoperto le cose importanti della vita. Mi fa persino piacere reincontrarti.

Prima cosa che mi dice, ripeto, vent'anni che non ci si vede anche se qua è là ho avuto sue notizie di rimbalzo (per esempio so che è sposato e che ha prole, so dove lavora, Torino è una città piccola): «Come stai», «Io sto bene», venti secondi di queste solite banalità peraltro inevitabili.

Dovrebbe seguire: cosa fai nella vita, hai figli, quanti anni hanno, tutto bene, cosa hai fatto, riferimenti ad altri ex-compagni o amici comuni, hai più avuto notizie di Tizio o di Caio... parrebbe normale. E invece.

Seconda cosa che mi dice - e sono passati meno di due minuti dal momento in cui mi ha rivisto dopo vent'anni: «Sei sempre della Juve?».

Resto sbigottito per un istante, Mario soffia come una tigre dai denti a sciabola, i miei neuroni si esibiscono in un salto del lemming con il triplo carpiato, e non ho la prontezza di dare la mia solita risposta a questa domanda e alle altre varianti del quesito esistenziale più stupido dai tempi della preistoria: «Di che squadra sei?». La mia risposta usualmente è: «Superati i 18 anni ho scoperto che continuare a dare importanza al calcio, oltre che infantile, è una cosa decisamente idiota» [Tm]. In genere scontenta e mette a tacere l'interlocutore, con mia buona pace e intima soddisfazione.

In sostanza, poiché ho praticato come tutti questo sport da decerebrati fino all'uscita dalla pubertà, e in seguito è stato ahimé anche materia di lavoro per me, non lo ignoro come vorrei. E tra le due fazioni cittadine, chiaramente per buon gusto e qualità mentale e intellettuale dei diversi appartenenti (e in parte per eredità familiare), gradisco di più la sponda bianconera. La mia posizione è che non vado allo stadio, non guardo una partita che sia una in tv, se la "mia" squadra vince mi fa piacere, se perde sinceramente me ne strabatto, e non mi interessa minimamente cosa fanno le squadre altrui, saranno un po' cazzi loro.

Stavolta, come detto, esito, e perso nei tempi andati almeno quanto colto alla sprovvista, balbetto qualcosa tipo «... Beh, oddìo, più o meno, sì». Lui, questo individuo che credevo evolutosi oltre lo stadio larvale e prossimo alla maturità dei 40 anni come me, sorride beffardo e mormora: «Auf Wiedersehen!». Esamino per un istante, sconvolto, il concetto astruso. Perché mi saluta in tedesco? Mario ringhia e mi affonda gli artigli nella spalla. Vedo il tizio che sta palesemente avendo un'erezione, probabilmente un'orgasmo, tanto ritiene sia stata geniale questa sua battuta. Poi collego: la Juve, il giorno prima, ha perso una partita contro il Bayern Monaco, squadra innegabilmente tedesca.

Il tizio si allontana preda dei suoi ormoni (ha anche un po' di bavetta, potesse si darebbe le pacche sulle spalle, anzi manca poco che si abbracci e decida di limonarsi un po' da solo). Io resto lì, inebetito. E rifletto.

Inizialmente, sul fatto che il Toro (che sta peraltro in serie B e non esattamente in Coppa dei Campioni) ha appena perso a sua volta con il Crotone (o il Gallipoli, o il Sassuolo, o un'altra squadra di serie zeta), quindi devi essere discretamente stupido, perfino più della media dei tuoi pari - di solito una gazzella un po' zoppa e mezza marcia non prende per il culo il leone, se ne incontra uno, ha il buon gusto di girare al largo senza farsi notare. Poi finalmente inizio a riprendermi ed evito di cadere nella spirale del calcio, sbatto le ali mentali e mi libro di nuovo dove l'aria è (mentalmente) fresca.

E penso a quanto deve essere stata triste la vita di una persona che da vent'anni mastica amaro, che infonde tutto il suo misero senso di autorealizzazione in una fede calcistica (occhio alla parola "fede" che già di per sè siamo sul confine tra improprietà e bestemmia!!!), la quale non gli ha mai dato una singola, piccola, miserrima soddisfazione... al punto che, per resistere al baratro della depressione, e non potendo godere di gioie proprie, gode delle sfortune altrui, fatto che costituisce in tutti i campi dell'umano scibile un passo indietro sulla scala evolutiva. Penso che va bene i miei lemming, ma i tuoi neuroni devono essere spariti senza lasciare manco un biglietto di addio, parecchio tempo fa.

Vent'anni che non mi vedi, Vent'anni. E la seconda cosa che ti passa per la testa è di prendermi per il culo non già perché la tua squadra ha vinto, ma perché la mia ha perso... o meglio, quella che tu pensi sia la mia, perché ritieni che anch'io mi sia seduto sul diciottesimo gradino della vita e sia rimasto lì accanto a te, inebetito dai tuoi stessi idoli di cartone, affogato nella mia bava come tu nel tuo livore, a spremermi le gònadi di fronte a una palla di cuoio...

... ma vaffanculo, imbecille. E te lo dico con il cuore pieno di spirito natalizio. Non solo mi hai confermato che i fanatici di calcio come te sono e rimangono un sottoprodotto della mia specie (e che tra essi quelli di fede granata sono sinceramente delle persone mediamente più di merda degli altri), ma mi hai anche ricordato quella vecchia stronza che immancabilmente tutti i lunedì incontro dal giornalaio, a berciare con quella sua voce nasale del cazzo «Il nostro allenatore», «I ragazzi non hanno un bel gioco», «Per lo meno la Juve ha perso» (a riprova che da che mondo e mondo tutti gli stronzi si somigliano, n.d.a.). «La nostra fede granata» e un sacco di altre puttanate che mi disturbano mentre compro il Corriere o cerco il nuovo numero di Wired. Ma per questo ti ringrazio. Sono quattro anni che la sopporto, tutti i lunedì. Non ce la faccio più. La settimana prossima mando affanculo pure lei.

Scusate, non c'è una vera lezione del nostro manuale, qui. Se non questa: c'è un limite anche a quanto ci si può dimostrare imbecilli. Ma se lo superi, questa lezione è peraltro inutile. Quindi, per dirla con Stephen King: «Grufola, porco, o crepa». Poco m'importa.

E Buon Natale.

lunedì 30 novembre 2009

(7) 3a Lezione: Richiesta d'Amicizia

Vediamo di capirci.
Non ci vediamo, non ci parliamo, non abbiamo notizie l'uno dell'altro da almeno 15 anni. Grazie a Dio ti ho rimosso dalla memoria, quando ripenso ai compagni di scuola, alle partite a basket del sabato pomeriggio, alle serate fuori, tu non ci sei. Ti ho stracciato via dal tessuto della mia vita.
E adesso mi mandi una richiesta di amicizia.

«Ehi, ciao, come va? Ma sei tu? Sono passati un sacco di anni! Ti ricordi di me?»

Vediamo.
Ho passato cinque anni di liceo a evitarti. Prima dei compiti in classe cercavo di cambiare posto per non averti intorno e non avere problemi. Nell'intervallo speravo che fossimo in squadra insieme, così non avrei evitato quei fottuti calci, ma almeno avrei limitato i danni - da avversario mi avresti spezzato una caviglia. In gita scolastica dormivo con un occhio solo, e con una bomboletta spray e un accendino sotto le coperte nel caso tu avessi deciso che dormivo e che valeva la pena approfittarne (per la cronaca, ci hai provato, è sparito il segno di quella bruciatura? Mi è costata un paio di lividi di quelli seri, ma Dio se ne è valsa la pena...).

E mi chiedi se mi ricordo?
Cazzo, se mi ricordo.
O almeno, adesso mi ricordo. Fino a poco fa ero riuscito a farne a meno.

Spesso abbiamo intorno gente che non sopportiamo. Ma che subiamo. Conoscenti, colleghi di lavoro, parenti, che in un mondo libero da freni inibitori aggrediremmo con una mazza da baseball, prenderemmo a calci anche dopo averli fatti svenire, metteremmo sotto in auto compresa la retromarcia. Ma abbozziamo. Un sorriso finto, e poi si gira al largo. Ce ne lamentiamo con gli amici, qualcuno anche con l'analista. E tutto questo perché? Perché dirlo chiaro e forte non fa parte del nostro corredo comportamentale, che soffoca quello genetico. Non sta bene. Procura solo guai. Come se a stare zitti li evitassimo, i guai.

E allora, mi ricordo.
Mi ricordo della clamorosa testa di cazzo che eri, e che senza dubbio anche adesso sei, nonostante l'aria ingrassata che ti dà il doppio mento e quegli occhialetti da serial killer che occhieggiano dalla tua immagine di Facebook. Ti ho dimenticato in questi anni, ma ero convinto che da quel teppista che sei sempre stato, fossi finalmente riuscito a ficcarti in qualche guaio serio, perché tutti i bulli prima o poi finiscono sotto i cazzotti di un bullo più grosso di loro. Anzi, pensavo fossi tossico, o in galera, o entrambi. Magari morto - e morto male, avrei sperato.

E invece... mi spunti fuori su Facebook e mi mandi una "richiesta di amicizia". E ti aspetti che io la accetti, in nome "dei vecchi tempi", anche se di quei tempi porto ancora almeno una cicatrice, qui, sulla spalla. Ah! I bei vecchi tempi. Intendo, quelli in cui c'era la dittatura, ma almeno gli stronzi li impiccavano.

Non so chi sei o cosa fai. Temo, perché la vita non è giusta, che tu ti sia ricavato uno spazio nella società, dal quale la rosicchi per vivere, perché il bullo ha successo e anzi è celebrato, perfino nei videogiochi. Temo anche che tu abbia trovato una donna talmente idiota da non capire l'imbecille che sei (perché l'imbecillità è genetica), o più probabilmente che lo ha capito troppo tardi quando hai iniziato a suonarla come un gong, o a inseguirla con un pezzo di corda pieno di nodi. E temo addirittura che lei ti abbia consentito di riprodurti, e inquinare il pianeta diffondendo i tuoi geni (sempre perché l'imbecillità è genetica), e producendo una piccola copia di te stesso in procinto di terrorizzare le generazioni future. Sinceramente, non me ne importa niente.

Sei stato il primo di una lunga lista, fatta di colleghi di lavoro, conoscenti, ex-amici, ex-fidanzate, e malavitosi assortiti. Grazie a te ho imparato a reagire e a non subire, e grazie a te ho superato indenne tutti gli stronzi che ho incontrato nella vita, senza danni e con un sorriso. Ma non credere che ti debba qualcosa, per questo: ho già pagato a suo tempo.

Perché la terza lezione è questa: reagire. Non accettare più. Brucia all'inferno, bastardo. Anzi, facciamo una cosa: nòminami nel tuo testamento. Non importa perché: lasciami un euro, in "nome dei vecchi tempi", un mazzo di fiori, basta un biglietto, che mi faccia sapere che il tuo corredo genetico è stato rimosso dal pianeta.

Ho nel frigo una bottiglia di spumante da mezzo litro con il tuo nome sopra.

(7) Lesson 3: Friendship Request

Let me understand.
We've not met, we've not talked, we've not received news about each other for the last 15 years. Thanks God I removed you from my memory, when I think back at my school days, my buddies, all those Saturday afternoons on the basket court, you are not there. I cut you off of my life.
And now, you send me a "Friendship Request".

«Ehi, there, how you doin'? Is that really you? It's been such a long time! Do you remember me?»

Let's see.
I spent my five high-school years trying to avoid you. Before any class text I tried to change seats with somebody else, not to have you around so I could concentrate on my work. On half-morning breaks I hoped we were in the same soccer team so that, even if I knew I could not avoid you kicking me no matter what, at least I had a chance to contain the damage - with you on the opposite team, I would have ended up with a broken ankle every time. On school trips I learnt to sleep with one eye open, and with a spray can and a lighter under the sheets, just in case you thought about paying me a night visit (by the way, you did try, is that burn scar still there? I payed that with a lot of pain, but God, was it worth it...).

And now you ask me if I remember?
Fuck, I do remember.
At least - now I do. Up to five minutes ago, I had managed to forget you.

We are often surrounded by people we can't stand. But we tolerate them. People we know, people we work with, even relatives - people who, in an inhibition-free world, we would attack with a baseball bat, we would kick on the ground even when they pass away, we would drive over - ahead and reverse. Still we tolerate them. A fake smile, and then we steer away. We talk about them with our friends, somebody does with a shrink too. And why? 'Cause spelling it out loud and clear is not included in our behavioural set of skills, which is suffucating our genetic program. It ain't right. You'll get in trouble. Like, we can avoid that kind of trouble just by keeping our mouth shut.

So, I remember.

I remember how a huge asshole you were, and you still are, no doubt about it, notwithstanding that fatty looks and those serial killer-like glasses eyeing me from your Facebook image. I forgot about you along the years, but I was convinced that such a stupid bully would have ended up being involved in some real trouble - since all bullies find a bigger bully in the end. Worse, I thought you did end up as a junkie, or in jail, or both. What the hell, maybe you were dead - an ugly death, I hoped.

No. You pop up on facebook and send me a "Friendship Request". And you probably think I will accept it, "for old times' sake", even if I still carry at least one scar from those old times, here on my shoulder. Ah! The good old times. I mean, those back during the dictatorship, when life was impossible but at least assholes could be hung from a tree.

I don't know who you are now, or what to do. I fear, since life ain't just, that you already digged your own space into our society, from which you suck from it what keeps you alive. Since bullies are bound for success nowadays, they are cheered about, there is even a videogame about that. I fear that you found a woman, someone so stupid that she didn't understand what a jerk you were (since being a jerk is genetic, you know) - or more probably she didn't understand it until it was too late, after you had already started beating her like a gong, or chasing here with a piece of rope full of knots. I even fear she allowed you to breed, polluting this planet with your genes (still, since being a jerk is genetic), and producing a small copy of yourself, to bully around the forthcoming generations. Sincerely, I don't give a shit.

To me you have been the first on a long list, made of workmates, casual aquaintances, former friends, ex-girlfriends, and such mobsters. Thanks to you I learnt to react, and not to surrender. Thanks to you, I grew past all the assholes I met along my life, with a smile and no damage taken. But don't you dare to think I owe you anything: I already payed for that.

So the Third Lesson is all here: react. Don't accept passively anymore. Burn in hell, you bastard. No, better: put my name on your last will. I don't care what reason you attach to that: leave me one euro, "for old times' sake", a flower, a note, something to let me know that your genetic set has been removed from my planet.

There's a champagne half-liter bottle with your name on it, in my fridge.

martedì 3 novembre 2009

(6) Intermezzo: Avete Presente Quei Giorni

... quando la merda colpisce davvero il ventilatore.
Perché ne ho appena avuto uno.
E ci si incattivisce, per cui a farne le spese non sei più tu, è il prossimo che ti incontra.



(Se il video non fosse direttamente visionabile per motivi incomprensibili, lo trovate qui, direttamente da YouTube)

In fondo, si può affrontare la vita in molti modi.
Ma se domani quando ti svegli affronti chiunque e qualunque cosa con l'attitudine di un linebacker, poi ti senti meglio.

Guarda il video.
Ancora.
Ho detto tutto.

(6) Interlude: You know Those Days

... when the shit really hits the fan.
Because I just had one.
And you build up anger, until it does not discharge on yourself anymore, it does on the next guy you meet.



(If you can't see the video here, for reasons I cannot explain or understand, you can find it here, straight from the YouTube website)

You can face life in many ways, after all.
But if you wake up tomorrow, and face everyone you meet with the attitude of a linebacker, then you will feel better.

Watch the video.
Again.
'Nuff said.