martedì 20 ottobre 2009

(3) 1a Lezione - Fenomenopatologia dell'Autobus

SHOUT - © Misha Gordin - www.bsimple.comUn vecchio amico dei tempi di scuola aveva un cartello nella sua stanza, con le due regole-base della comunicazione: 1) Esserci, 2) Dirlo. Un brindisi a Giovanni e alla saggezza del suo muro. Peraltro, la prima regola va da sé, esserci è facile, in questo campo esserci è ovunque. La seconda regola è quella che richiede allenamento, perché oltre che della comunicazione, sono anche le due regole della sopravvivenza urbana, e i primi due capisaldi di questo Manuale.

Un tempo, e con "un tempo" intendo una quindicina d'anni fa, come la stragrande maggior parte degli abitanti del pianeta, io e Mario eravamo più giovani. Non c'erano equivoci: mai avuto un aspetto strettamente giovanile, ma neanche decrepito, insomma ero il vostro medio amichevole ventenne di quartiere e quando entravo in un negozio invariabilmente il tizio (o la tizia, per le pari opportunità) mi dava del tu.

Adesso, quando capita, mi indispettisco e mi chiedo, "Ma ci conosciamo? Abbiamo mai fatto colazione insieme? Ti ricordo un tuo lontano cugino?..." e invariabilmente attuo la regola numero due e ricalco il mio "Buongiorno a lei" tanto a far capire, ognuno al suo posto. Ma quindici anni fa no. Quindici anni fa incarnavo il presupposto che chi ha l'aspetto giovane è giovane, sano, indistruttibile, e lo sarà per sempre.

In realtà ho passato qualche anno con problemi di origine sportiva alle caviglie e alla schiena, e stare in piedi spesso mi era piuttosto difficile, quindi cedere il posto a una persona anziana mi costava il doppio dell'eroismo che ci mette l'italiano egoista medio. E già, voglio dire, che uno si alzi o si sieda in funzione del dato anagrafico è spesso fallace: produca gli ultimi esami del sangue e qualche radiografia, grazie, vediamo un po', ecco vede? Ho i trigliceridi più alti dei suoi, passi oltre signora che là in fondo c'è un tizio che avrà settant'anni ma ha anche mani come badili, gambe come pilastri di ghisa è prima di salire ha inseguito di corsa l'autobus per tre fermate.

Sta di fatto che quindici anni fa avevo all'incirca quindici anni di meno. Adesso arranco verso i quaranta, e poiché che mi è caro il mio Dante (visto che mi è stato impresso a lettere di fuoco grondanti sangue nella mente ai tempi del liceo), ho sempre ben presente che il Poeta nacque nel 1265, e nel 1300 scrisse la Divina Commedia iniziando con le realistiche parole "Nel mezzo del cammin di nostra vita", che in numeri quivale a 35 anni. Quella è la metà. Facciamo della matematica da sala d'aspetto? Chi sta prima di quella soglia si alza e fa sedere chi sta dopo. Se siamo in due dalla stessa parte, tregua.

Per cui, in primis, non prendo mai l'autobus. In genere non va dove devo andare io, a meno di fare giri del mondo degni dell'omonimo romanzo. Inoltre, lo ritengo il maggior veicolo di infezioni che esista, secondo solo alle sale di Pronto Soccorso degli ospedali pubblici. Va detto che, come molti ossessivi-compulsivi, sono germofobico, il che non aiuta in molte situazioni, per esempio in tutto ciò che accade fuori dalle mura domestiche. Dio ha creato l'asfalto e ci ha donato le automobili affinché potessimo goderne, quindi gradisco una passeggiata se la destinazione è vicina, altrimenti se ho preso una patente di guida ci sarà un motivo.

Resta un numero limitato di situazioni in cui l'uso del mezzo pubblico mi è necessario. E in genere, anche ad autobus vuoto, evito di sedermi, perché tanto prima o poi si riempirà e così mi risparmio la liturgia del "prego si accomodi". Ma qui subentra il problema istintivo che abbiamo tutti, noi che abbiamo avuto la sventura di venire educati come si conviene, anziché pascolati nei cortili e nei centri commerciali come le oche. Siamo addomesticati. E dice madre natura, il predatore in genere mangia la preda, e il selvatico mangia il domestico. A meno che quest'ultimo non impari a difendersi.

Siamo schiavi dei modi urbani. Ecco perché parlo di guerriglia urbana: cioé guerriglia all'essere urbani. Uscire dagli schemi e prendere alla sprovvista, perché l'addomesticato è mansueto ma è il selvatico che, se sente un botto, vede una luce forte, o gli fai "bu!", in genere scappa con la coda tra le gambe.

Serve un vaccino, va preso in piccole dosi costanti, e fa male.
Prendete un autobus, sedetevi, aprite un giornale o sonnecchiate, non importa, ma imponetevi di non alzarvi finché non giungete a destinazione. Vi sentite a disagio? Per forza. Ma avrete notato che molti altri lo fanno, e non sono a disagio. Ridono, scherzano, bestemmiano, telefonano, ma non schiodano le chiappe dai sedili nemmeno quando il mezzo si ferma per un guasto (sono quelli che a quel punto, sempre da seduti, dicono ad alta voce: "Ma che succede? Non dovremo mica scendere?"). Quindi, fatelo anche voi.

Certo è sgradevole, non è buona cosa e non va preso per abitudine, ma è una cura, e di solito non chiedete al medico se la medicina è buona, la prendete finché non guarite, quindi perché questo dovrebbe essere diverso? Non m'importa se dopo vi sentite in dovere di espiare, offrite un caffé a un collega, fate un'offerta a una onlus, correte in chiesa, affari vostri. Ma salite su quel cazzo di autobus e statevene seduti fino in fondo, e intendo fino in fondo.

Fatto? Bene, avete appena scoperto due cose.

Uno: alla fine della corsa, avete avuto una sensazione di adrenalina con tanto di brividino, un senso di grandeur alla francese, come vi siete sentiti la prima volta che siete scesi da un ottovolante, neanche aveste scalato l'Everest. L'entità del brivido e dello scarico di adrenalina è direttamente proporzionale al grado di conformismo e repressione di cui avete disperatamente bisogno di liberarvi.

Due: siete scesi dall'autobus senza essere stati arrestati, senza avere una denuncia pendente, non ci sono state conseguenze. Anzi, nessuno vi ha notato (questo, spesso, fornisce all'adrenalina di cui sopra un retrogusto di delusione).

Tranquilli: alla fine di questo corso, continuerete a cedere il posto alle vecchine e a curare i passerotti con l'ala spezzata, non intendo assassinare il San Francesco che è in voi. Ma dargli una regolata, questo sì. Questa è la mia vita, questo è il mio spazio: guido io. Anche l'autobus.

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